mercoledì 16 novembre 2011

Le patacche dei Complottisti

Sebbene abbia un curriculum di tutto rispetto e goda di una reputazione più che ottima in tutto il mondo, il neo presidente del Consiglio Mario Monti, pur non avendo fatto cenno a uno solo dei provvedimenti che intenderà attuare, già spacca l’opinione pubblica. Non trovando quindi materia per fare il solito processo alle intenzioni, come tanto piace fare a quegli italiani che di intenzioni vivono e di intenzioni muoiono, i detrattori di Monti hanno posto l’attenzione su tre aspetti particolari della sua biografia: la carica di rappresentante europeo della commissione Trilateral; l’advisor della Goldman Sachs; il ruolo di membro del gruppo Bildelberg.

Questi tre gruppi, secondo quelli che comunemente vengono definiti “complottisti”, sarebbero gli artefici di un Golpe Globale ai danni delle masse. In effetti ci sono da notare alcune strane coincidenze. Mario Draghi, attuale presidente della Banca centrale Europea, dal 2002 al 2005 è stato vicepresidente e membro del management Committee Worldwide della Goldman Sachs. Del premier Mario Monti abbiamo già detto. Lucas Papadémos, il neo premier greco, ha anche lui lavorato per Goldman Sachs ed è membro della Trilateral. Ma, senza scavare molto, si trovano di questi legami anche per altri illustri personaggi come Giulio Tremonti, Romano Prodi, Massimo Tononi, Gianni Letta, Angela Merkel, Margareth Tatcher e via dicendo. Come spiegare tutte queste coincidenze? Semplicemente riconoscendo che non sono coincidenze.

Gli incontri che avvengono in seno alla commissione Trilateral o al gruppo Bildelberg sono occasioni in cui vari leader politici, intellettuali, affermati tecnocrati ed economisti si confrontano su tematiche di interesse sovranazionale, tenendo conto delle interconnettività dei fenomeni economico-finanziari che il capitalismo finanziario e la globalizzazione si portano dietro. Lo stesso vale per gli economisti provenienti da Goldman Sachs che, come afferma Franco Reviglio, professore alla Facoltà di Economia dell’Università di Torino, ai microfoni di Rainews24, non hanno alcun tipo di rapporto con le banche d’affari, principali imputate per la crisi che stiamo vivendo, anche perché gli economisti ricoprono solitamente il ruolo di advisor, consulenti. Tuttavia, e torniamo al Golpe Globale, ciò non ha impedito ai più lungimiranti di ammorbarci con ricostruzioni che a definire fantasiose si fa un torto alla semantica. Si parla infatti di un Nuovo Ordine Mondiale, di una elìte massonica che, in virtù di un Disegno Globale, intende sottomettere artatamente le Masse del mondo, decidendo del Bene e del Male. Un ‘deus ex machina’ oscuro che intende minare la sovranità degli Stati per attuare il suo progetto di Dominio sulla Terra.

Non ci vuole particolare ingegno per capire che sono un mucchio di fregnacce. E tuttavia duole constatare che queste fregnacce trovano un largo seguito, soprattutto in rete, complice anche l’attivismo di certi blogger che definire pataccari è poco. La presentazione di certe informazioni, senza un’opera di mediazione da parte dei blogger (e qui si potrebbe aprire un capitolo sull’informazione on-line) e dei ‘giornalisti’ web, può evidentemente alimentare fenomeni di disinformazione molto pericolosi. Lo si è ben visto quando, nell’ultima puntata di Servizio Pubblico, il risultato del sondaggio sull’ipotesi di un governo tecnico a guida Monti, sebbene all’inizio fosse favorevole, si è capovolto non appena il blogger Claudio Messora ha citato i legami tra Monti e i tre enti succitati. Santoro ha lasciato sommessamente intendere che era una visione complottista, mentre Vittorio Feltri non ha preso in considerazione il legame affermando, in un sussulto di pragmatismo, che la causa della crisi italiana è il debito pubblico, causato da una cattiva amministrazione da parte delle nostre classi politiche. Niente di più, niente di meno.

Una specie anomala, quella dei complottisti, e soprattutto variegata. Ne fanno parte un po’ tutti: berlusconiani, grillini, comunisti, gente sia di sinstra che di destra. Che trovano i loro guru in blogger e giornalisti come Claudio Messora, Paolo Barnard e Giulietto Chiesa, tutti riuniti nella trasmissione Matrix di Alessio Vinci del 15 novembre. Il termine complotto a loro però non piace. C’è chi parla di un conflitto di interessi, chi di truffa, chi di colpo di Stato. Secondo Barnard infatti, l’Italia è stata esautorata della sua sovranità, dovendo sottoporre il proprio bilancio, prima ancora che al Parlamento, alla Commissione Europea. Ergo, vien da sé, in Italia abbiamo avuto un colpo di Stato e non ce ne siamo accorti. Sempre secondo Barnard, la Bce non ha voluto comprare titoli di stato dell’Italia (avrebbe provocato una riduzione dei tassi di interesse con evidente beneficio del nostro paese) causando l’avvicendamento improvviso a Palazzo Chigi. Ergo, vien da sé, è un colpo di Stato. Messora chiede che il contenuto degli incontri segreti di Bildelberg sia reso pubblico, altrimenti, s’intende, si è autorizzati a trarre conclusioni destituite di fondamento su quello che gli economisti si dicono. Giulietto Chiesa, invece, è ancora più intransigente: noi il debito non lo paghiamo, lo abbiamo già fatto.

Da queste visioni, che se vogliamo trovano una loro ragion d’essere, seppur con dei punti di forte criticità – tralasciando poi le conclusioni cui arrivano (colpi di Stato, logge segrete, non pagare il debito) che hanno, almeno per chi ha un po’ di senso critico, tutta l’aria delle bestemmie - ne deriva il filone complottista molto diffuso sulla rete. Un filone che non ammette altre versioni sulle cause dei problemi economici mondiali se non questa: che i banchieri vogliono decidere delle sorti del mondo. I banchieri sono un elìte il cui unico obiettivo è una politica mondiale ai danni dei cittadini di Europa, Stati Uniti e paesi orientali. E la nomina di Monti e Papadèmos a presidenti del Consiglio italiano e greco è la prova che la finanza sta scalzando la sovranità nazionale per imporre i suoi uomini e minare la democrazia. Alcuni cospirazionisti arrivano addirittura ad affermare che sia in atto un complotto sionista, non rendendosi conto che, in nome della libertà che invocano, assomigliano più a un Hitler che a un Marx. Ma questi sono dei casi disperati.

Insomma, chi la chiama in un modo, chi in un altro, l’idea di fondo è questa: c’è in atto un golpe globale ad opera della Grande finanza ai danni delle sovranità nazionali, di cui i popoli vengono privati. Non sanno, gli sciocchi, che i popoli non hanno, pragmaticamente, alcuna sovranità, dacché vi rinunciano delegandola ai loro rappresentanti politici (e, al netto dell’onesta di quei politici, è un bene che sia così, dato che la bontà della democrazia diretta è solo un mito cui solo i più gonzi vanno dietro) e che poi si perde negli eccessi della burocrazia. Non si prende in considerazione una possibile incapacità dell’Unione Europea di indicare una linea politica a tutti gli stati sulla tenuta dei conti e la gestione delle finanze; né che l’errore di fondo stia sì nel sistema finanziario, ma è dovuto alla mancanza di politiche sovranazionali atte a proteggerlo dai fenomeni puramente speculativi e all’assenza di organismi di controllo; non si prende in considerazione, infine, l’ipotesi che se siamo allo sbando è perché manca proprio quello che loro vedono, ovvero un organo al di sopra degli stati che regoli il capitalismo finanziario. È il vuoto della politica che genera quel divario esistente tra economia reale ed economia virtuale.

È evidente che con la globalizzazione non si possa parlare più di economia nazionale, ma si debba parlare di un’economia globale. Ebbene, se prima la politica poteva detenere il primato sull’economia proprio perché essa si muoveva all’interno del proprio stato, oggi che sono cadute tutte le barriere e gli spazi sono diventati sempre più ampi, risulta evidente la sua incapacità e il bisogno di una revisione delle politiche sovranazionali, indubbiamente inadeguate allo stato attuale nonostante gli sforzi fatti. Ovvero, l’azione politica deve riaffermarsi su quella economica, attraverso organismi indipendenti dai singoli stati, ma a cui ogni stato contribuisca nel suo interesse e nell’interesse degli altri.

Che la crisi economia sia molto complessa, lo abbiamo capito tutti. Ma di soluzioni, a oggi, non ne sono state trovate. E proprio per tale ragione bisogna smetterla di dare credito a chi si prodiga affannosamente per offrirci la sua semplicistica e goffa soluzione, rivoluzionaria o meno che sia (di solito è rivoluzionaria). Bisogna smetterla di andar dietro a quei blogger venditori di fumo - che oggi vanno tanto di moda - che ciarlano di Nuovi Governi mondiali e patacche simili. Insomma, bisogna smetterla di farsi convincere dai pagliaccismi al cui afflato spesso non sappiamo resistere. Perché dei pagliacci – lo abbiamo appena visto con Berlusconi – a lungo andare non si sa cosa farsene. 

domenica 13 novembre 2011

Il Piazzale Loreto dell'Italia berlusconiana

Una volta, Ugo Ojetti disse a Montanelli: “Figlio mio, ti accorgerai anche tu che l'Italia è un Paese di contemporanei, senza antenati né posteri. Perciò, senza memoria”. Non si trova, ad oggi, definizione che si attagli meglio al nostro popolo. E a rinforzo di questa tesi si può portare l’esempio che stiamo vivendo in questi giorni: le dimissioni di Berlusconi.

Nei momenti di festa, quei pochi che in Italia ci vengono concessi, i guastafeste sono sempre guardati di sbieco, anche perché non avendo storicamente mai avuto molto da festeggiare, ci si lascia andare a leggerezze che coi cinici seccatori mal si conciliano. Ma qualcuno, questo turpe ruolo, lo deve pur ricoprire.

Le dimissioni di Berlusconi, salutate dalle piazze come una riedizione del 25 aprile, hanno scatenato un’euforia condivisa, certamente attesa, probabilmente poco meritata. Intendiamoci, che Berlusconi se ne sia finalmente andato non può che essere considerato un bene per la nazione. Quello che invece sfugge allo spirito critico popolare, e anche a molti intellettuali, è la ragione per cui ha lasciato la scena. Ed è bene metterlo in chiaro sin d’ora, a scanso di tutti i tentativi politici di mettere il cappello su una presunta vittoria che a tutti può appartenere fuorché ai partiti: le dimissioni di Berlusconi ci sono state imposte dai mercati. Insomma, come in tutti i momenti di forte criticità che il nostro paese si è trovato ad affrontare, l’ancora di salvezza è stata gettata da un’altra nave, non dalla nostra. In questo caso, è bene ripeterlo, i mercati hanno fatto la parte che avrebbe dovuto giocare la nostra classe politica, che come al solito ha dato buca. Come da prassi.

Non per scadere nei luoghi comuni, ma la Storia ama ripetersi, e nel nostro paese lo fa anche con singolare sadismo. Lo si è visto con il Fascismo, sulla cui fine si può dar credito a qualsiasi tesi, meno che a quella per cui noi italiani abbiamo giocato un ruolo determinante. Del fascismo ce ne liberammo grazie agli americani, il contributo dei partigiani fu certamente lodevole da un punto di vista patriottico, ma da quello pratico fu solo una timida spallata a fronte della caterva di scoppole ricevute. I nazisti li avrebbero crocifissi lungo la via Appia, come Crasso fece con Spartaco e il suo esercito, se non fossero intervenuti gli Alleati. A noi, insieme all’ammirevole prova dei partigiani e alla retorica, che in Italia non tramonta mai, è rimasto sul groppone Piazzale Loreto, forse la pagina più triste della nostra Storia, e per questo la più taciuta. Un popolo che fino al giorno prima si era privato dei suoi averi più preziosi per sostenere lo stato fascista, ora sputava e inveiva sui cadaveri dei suoi gerarchi, in uno sventurato tentativo di recuperare una verginità politica oramai persa.

E lo si vide subito dopo, quando una larga fetta dell’elettorato italiano tentò di affidare, alle elezioni del ’48, il mandato politico al Partito Comunista di Togliatti, che altro non era se non un facsimile di quello stalinista. Allora si riuscì a mettere una pezza prima di creare la falla solo e unicamente grazie alla Chiesa, di cui in quell’occasione ci dobbiamo considerare debitori. È un merito che, se si vuole rendere un servizio alla propria onestà intellettuale, è doveroso riconoscerle. La Chiesa scese in politica, fiancheggiata non solo dall’associazionismo cattolico, ma dalle parrocchie, dagli oratori, da qualsiasi succursale del suo ascendente fideistico per arginare la deriva comunista a cui l’Italia si apprestava ad allargare le braccia. E sebbene l’ingerenza della Chiesa negli affari interni italiani sia di certo un valido motivo per criticarla, quella volta fu provvidenziale. Ma ci salvammo per un intervento esterno, non certo da noi.

E lo si è visto, ancora, con Tangentopoli. Quando la classe politica, non essendo capace di ripulirsi da sola, fu travolta dall’ondata di inchieste di Mani Pulite. Venne fuori tutto il marcio, il cui lezzo promanava da qualsiasi struttura dello Stato, da qualsiasi ente, da qualsiasi sede di partito. E ci si provò a guarirla, quella classe politica, attraverso l’attività dei magistrati, nonostante i politici facessero fronte compatto per salvaguardare i propri interessi e la propria licenza di delinquere. Anche stavolta, tocca riconoscere, l’opera di risanamento fu tentata da un potere esterno a quello politico, la magistratura. Il risultato lo abbiamo visto nel ventennio successivo, di cui oggi ci accingiamo a raccogliere l’eredità e il peso. Il frutto malato di Tangentopoli è stato Berlusconi, non tanto la causa della mancanza di una coscienza politica nazionale, quanto l’effetto. Perché? Perché gli italiani non sono mai stati capaci di risollevarsi da soli, con le sole loro forze. Hanno sempre aspettato che l’uomo della Provvidenza venisse da fuori a salvarli. Gli Alleati, la Chiesa, Mani Pulite, Berlusconi, sono tutti la vergognosa attestazione dell’inadeguatezza tutta italiana a venir fuori dalle difficili situazioni facendo appello alla sola ragione dei suoi cittadini e di chi li rappresenta.

E se qualcuno oggi paventa il pericolo per la democrazia, minacciata da un governo di tecnici, estranei ai partiti politici e quindi non “eletti dal popolo”, è meglio che taccia. Oggi la politica non è in grado da sola di fare tutto l’indispensabile per evitare il fallimento del paese, lo ha dimostrato abbondantemente portandoci sull’orlo del baratro su cui oggi vertiginosamente ciondoliamo. È meglio quindi che ceda il passo a persone la cui credibilità risulti ancora intatta, e ripensi a quanto poco e male ha fatto dal dopoguerra ad oggi. E si ripresenti alle prossime elezioni con una faccia nuova. Oggi è il momento da farsi da parte, domani il mondo politico avrà di certo un’altra possibilità. Per converso, la società civile non è meno colpevole. Nessun lancio di monetine, nessuno sputo o dito medio domani potranno ravvivare la dignità degli italiani, il cui spirito critico si sveglia sempre con netto ritardo rispetto agli eventi. Gli italiani, è bene ricordarcelo, non solo hanno assistito a questo scempio che dura da anni, ma hanno contribuito fortemente acchè avvenisse. Fa più bene all’amor proprio che alla propria onestà morale appostarsi fuori dai palazzi o nelle piazze per berciare e inveire contro i politici, mentre per tutta una vita si è stati silenziosamente testimoni o finanche sostenitori. Così come nel ’45 si faticava a trovare dei fascisti, oggi si fatica a trovare dei berlusconiani.

Quella di ieri non è stata una vittoria degli italiani. Fosse stato per noi, Berlusconi ce lo saremmo tenuto fino a quando il Padreterno non si fosse stufato. Al massimo è stata una vittoria di Pirro, sulla quale noi cittadini, al pari dei politici, non possiamo mettere il cappello.
Ieri abbiamo assistito a un altro Piazzale Loreto, seppur in chiave postmoderna e parecchio annacquata. Speriamo di non dover più vedere di queste scene per il resto della nostra storia. Ne abbiamo già viste abbastanza.

mercoledì 9 novembre 2011

Le dimissioni all'italiana

In un paese come l’Italia, le dimissioni del presidente del Consiglio non potevano essere rassegnate che all’italiana: mi dimetto, ma con calma, che è tutta ‘sta fretta. Stavolta però di tempo ce n’è davvero poco. Per di più non c’è da dar conto soltanto agli italiani che, sebbene di lingua lunga, si sono rivelati di memoria piuttosto corta, quanto all’Europa che di corto non ha nulla se non il braccino. Ma facciamola breve. Non si può analizzare la situazione politica nazionale senza tenere in considerazione quella economica internazionale, dacché sono molte le sorti appese al filo della nostra legislatura. Non sappiamo, ad oggi, quale siano le reali intenzioni di Berlusconi, tantomeno se abbia lasciato il Quirinale con sul volto un sorriso beffardo come a dire: “Ti ho fregato di nuovo”. Le ipotesi sono due, sostanzialmente: la prima è che abbia davvero intenzione di rassegnare le dimissioni, non senza badare al suo personale tornaconto, politico o personale che sia. Se e quali leggine ad personam inserirà nel maxi-emendamento alla legge di stabilità, solo Dio lo sa. Ma questa è forse, difficile a crederlo, l’ipotesi più rosea. Quella più negativa invece è questa: Berlusconi sottopone all’esame del Parlamento una legge finanziaria con dentro, tra le altre, norme critiche per una parte dell’aula, e nella fattispecie per l’opposizione, come ad esempio norme sulle pensioni o sull’articolo 18. Il risultato sarebbe perentorio: l’opposizione, che già tanto ha faticato a trovare una comunità d’intenti, si spaccherebbe, e il governo troverebbe nuova linfa per tirare avanti, seppur trascinandosi. Ma a quest’ultima ipotesi poco ci crediamo. Nel Pdl tutti si sono resi conto, seppure con colpevole ritardo, che un ciclo è finito e che la legislatura non potrà avere una conclusione se non in anticipo rispetto alle regolari scadenze. Non perché lo chiede l’Italia, quanto perché lo impone l’Europa.

Ma proprio perché dobbiamo guardare con un occhio all’Italia e con l’altro all’Europa, c’è da pensare a quel che accadrà subito dopo le dimissioni di Berlusconi. Anche qui le ipotesi sono essenzialmente due. Quella delle elezioni anticipate è la via caldeggiata da Pdl e Lega, e hanno buone ragioni per farlo. Le prossime elezioni le hanno già perse, quindi continuare a reggere per i denti l’anima di questa legislatura non si capisce a chi giovi. Con un restyling di facciata, Alfano al posto di Berlusconi, e una fase di forte instabilità sociale, alla quale andremo incontro non appena verranno attuate le misure economiche che l’Europa ci chiede, avranno vita facile nella lotta a coltello con i loro avversari. D’altro canto il Terzo Polo non sapendo ancora se allearsi con qualcuno e soprattutto con chi, è quello che rischia di pagare il prezzo più alto per l’instabilità politica di questo momento (un momento che dura dalla Costituente, per inciso). È per questo che le opposizioni pensano ad un governo tecnico guidato da Mario Monti, persona dalle indubbie qualità e che gode della fiducia di tutto il panorama politico. La sinistra avrebbe in tal caso altro tempo per riorganizzarsi, o meglio di organizzarsi per la prima volta dacché non si è mai data un vero e proprio garbo politico. In effetti, la sinistra ancor prima di vincere le elezioni quasi fa rimpiangere il dimissionario Berlusconi che un’unità d’azione, se non sulla base degli intenti, per lo meno su quella dei compensi, l’aveva tuttavia raccattata. Al netto dell’ironia, un governo tecnico darebbe tempo a Bersani di costruire una valida alternativa, che per ora, checché se ne dica, non c’è.

Nel caso di un governo Monti, lamentano però alcuni, la scelta di un uomo esterno agli schieramenti partitici sarebbe la certificazione tombale dell’incapacità di questa classe politica di risollevarsi da sola. Inoltre, un governo di larghe intese sarebbe la morte della martellante illusione che ci hanno propinato fino ad oggi sull’imprescindibilità del bipolarismo. Ebbene, siamo arrivati per l’ennesima volta  a due conclusioni che davamo già per acquisite. Il prima è che questa classe politica va definitivamente accantonata per fare spazio a una nuova. E l’altra è che, ad oggi, l’Italia non è pronta per un vero bipolarismo, la nostra tradizione partitica e politica ancora non ce lo consente. Che questa classe politica abbia fallito tutti i programmi che si era prefissata, è sotto gli occhi di tutti. Qualcuno storce il naso, però, quando si spera in un'intromissione dell’Europa negli affari politici interni. L’impotenza italiana di risollevarsi da sola sembra più che un rammarico, una constatazione a cui non si può e non si deve sfuggire. Le stesse dimissioni di Berlusconi non sono arrivate alla fine di una manovra politica tutta italiana, quanto per un imposizione perentoria dei mercati, che del modo di fare italiano ne hanno già piene le scatole.

L’Europa in effetti è per l’Italia quello che la suocera è per le giovani coppie da poco sposate: un fastidioso personaggio che gira per casa, e che non vediamo l’ora di mettere alla porta, se non fosse che senza di lei non sapremmo come riportare a casa i bambini dalla scuola. I bambini, per inteso, siamo noi italiani.