venerdì 16 settembre 2011

La secessione di Bossi. La stiamo ancora aspettando


C’è da fare uno sforzo notevole per arrivare a comprendere come una persona possa sentirsi un seguace della Lega Nord. E anche se ci si sforza, non è per niente sicuro che si riesca ad afferrare la ragion d’essere di un partito irrazionale. C’è scritto seguace, e non elettore, non per caso. Per dare il proprio voto al partito di Umberto Bossi più che la fiducia in un movimento politico, c’è bisogno di un vero e proprio atto di fede, che proprio perché è fede non necessita di essere giustificata. O lo si è, o non lo si è leghisti, di certo non lo si diventa. Il fenomeno leghista è certamente preoccupante, a fronte del 10% di suffragi che si prevede possa ottenere alle prossime elezioni. Ed è preoccupante non tanto perché è un partito di destra, reazionario, secessionista, razzista, ma perché non ha ragione d’esistere. Eppure esiste. Quando una larga fetta di popolazione comincia a lottare per delle cause fittizie, completamente avulse dalla realtà, è allora arrivato il momento di picchiare i pugni sul tavolo e far volare le stoviglie. La Lega Nord è il partito del nulla. Non vanta nessuna tradizione storica, né tantomeno si rivolge a un elettorato specifico per ceto o per ideologia politica, quanto piuttosto per occorrenze geografiche. Umberto Bossi è forse l’uomo politico più ignorante che la nostra amministrazione abbia mai offerto, ma che ha fatto della sua ignoranza la sua forza. Ha certamente saputo interpretare i malumori di una consistente fetta del paese, ma invece che alla testa del suo elettorato, si è rivolto alla pancia. E in effetti, per votarlo, ci vuole stomaco. L’Italia ha forse buttato un po’ troppo sulla mutanda l’avanzata leghista, e questo lassismo ha portato la Lega a raggiungere una porzione di potere assolutamente determinante in una consultazione elettorale, legittimandola come partito di governo di un paese da cui auspica separarsi. Dal tradizionale comizio del Monviso, il ministro delle Riforme ha dato la stura alla sua dialettica pregna di riferimenti ai miti padani, dall’esercito del nord alla secessione, tanto acclamati dalla folla lì riunita. C’è tuttavia da dubitare che nemmeno il capoccia sappia come cavarsi d’impaccio dalla situazione in cui si trova, ovvero di membro di un governo in un paese che lui sente, o dice di sentire, estraneo. Il dubbio sorge spontaneo quando si ascoltano le sue giustificazioni sul perché la Padania, regione chimerica, faccia ancora parte dell’Italia. Dice, l’Umberto, che bisogna attendere condizioni storiche favorevoli affinché qualcosa possa davvero cambiare. Così come c’è da essere scettici quando giustifica il mancato intervento della Lega durante il giro della Padania per i continui tafferugli verificatisi. Se fosse intervenuto lui, dice sempre l’Umberto, avrebbero sospeso il giro. Tuttavia non c’è da star troppo distratti. Milioni di persone sono già pronti sulle rive del Po in attesa di un lampo. Dopo il lampo, la Padania sarà fatta. Ahinoi, i leghisti, fantomatici rampolli dei Celti e di Dio solo sa cosa, sembrano, pur avendo abitato con noi italiani per tutti questi anni, non aver per nulla compreso la lezione che il nostro paese ha impartito a se stesso, e quindi anche a loro. La lezione è questa: che per fare un paese ci vuole un popolo. Se per fare l’Italia bisognava fare gli italiani, per fare la Padania ci vogliono i padani. I padani, ci duole constatarlo ancora una volta, purtroppo non esistono, a meno che non vogliamo intendere per popolo padano quei quattro scalzacani gonfi di protervia che vanno in giro di verde vestiti facendo gestacci, rutti e piriti. Montanelli, che c’aveva visto lungo, già nel ’94 definì Bossi un cavernicolo. E dopo vent’anni risulta ancora difficile trovare una definizione più adeguata del personaggio. Insomma, piuttosto che vederlo aggirarsi nel Palazzo completamente disinteressato alla sorte dell’Italia, verrebbe quasi da sperare che un giorno il capoccia dei Celti lo metta davvero su questo tanto sospirato esercito padano. E c’è da augurarsi persino che ci muova guerra. Se questo fosse l’unico modo per sbarazzarsi della palla al piede legista, così sia. Non impiegheremmo un secondo a schiacciarli sotto il tallone. A patto che, sul campo di battaglia, si presenti qualcuno.

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